L'albero delle arance

L'albero delle arance

"La lingua era più della dignità, la lingua era il potere." Con queste parole Jeronimo de Aguilar, protagonista della prima storia di questo libro, rievoca dall'oltretomba le vicende che avevano portato alla conquista del Messico, quando era stato l'interprete ufficiale tra gli aztechi e Hernán Cortés. Nel suo intimo simpatizzante per i nativi, cambiava le parole del conquistador nella speranza di cambiare anche il corso della storia. Finché la Malinche, l'india traditrice del suo popolo, lo aveva soppiantato nel suo ruolo diventando anche l'amante del comandante spagnolo. Di questo gioco di inganni erano rimasti vittima il Gran Montezuma e il principe Cuauhtemoc, l'unico a ribellarsi agli dèi venuti da lontano. Non più padrone della lingua, il grande re aveva perso la sua influenza sul popolo. E Jeronimo, non più manipolatore della parola dei potenti, era rimasto personaggio minore della Conquista fino alla morte per sifilide. Non prima di aver piantato alcuni semi d'arancio trovati in una scialuppa spagnola approdata sulle coste messicane. Portato dai mori in Spagna e da lì giunto in America, l'albero delle arance incarna la fertilità della terra, la fusione tra culture e attraversa come seme, fiore o pianta, anche le altre quattro storie; come il tema del doppio, opposizione e sintesi, contraddizione e fusione. Così, i due figli di Cortés Martin I e Martin II, avuti rispettivamente da una moglie spagnola e dalla Malinche, narrano le proprie vite parallele: l'uno appartenente alla nobiltà creola, l'altro, caduta in disgrazia la madre india, non dimentico delle proprie origini. Su di loro aleggia la figura emblematica del padre, che diede ori e onori alla Spagna e dalla quale fu ricompensato con l'esilio e la sottrazione della dignità e della ricchezza. La terza storia sembra allontanarsi dalle atmosfere care a Fuentes, ma in realtà anche il racconto dell'assedio e della sconfitta di Numanzia da parte dei romani guidati da Publio Cornelio Scipione ha come tematica il doppio, un doppio che si manifesta nella personalità del condottiero ma anche nella modalità dell'assedio: attorno alla città e alle sue mura i romani erigono altre mura e Numanzia si sdoppia in due Numanzie, destinate entrambe alla sconfitta. In "Apollo e le puttane", Fuentes mette in scena un attore statunitense di B-movies che, avuta un'unica occasione di emergere interpretando un film d'autore, ha vinto l'Oscar. Chi è allora questo gringo che muore su una barca al largo delle coste messicane durante un'orgia? Quale la sua vera personalità, la mediocre o l'altra? "Le due Americhe" riproduce infine frammenti di diario di un marinaio genovese, un certo Cristoforo Colombo, che naufraga su un'isola dove, accudito e protetto dagli indigeni, conduce un'esistenza serena e appagata in cui l'ansia di scoprire nuovi mondi rimane solo un lontano ricordo. Fino a quando in quella sorta di paradiso si produce un evento del tutto inatteso e straordinario. Anche i mondi sono due, e in entrambi cresce l'albero delle arance.
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