Immagini del disastro prima e dopo Auschwitz. Il «verdetto» di Adorno e la risposta di Celan

Immagini del disastro prima e dopo Auschwitz. Il «verdetto» di Adorno e la risposta di Celan

Il disastro che ha funestato il secolo scorso e che spesso viene evocato con i nomi di Auschwitz e di Hiroshima, non ha solo provocato la distruzione di vite umane e di città, ma ha anche determinato una rottura di civiltà che ha finito col demolire quella fiducia nel progresso tecnico, nello sviluppo e nella ragione umana sulla quale era fondato il pensiero occidentale. Si è trattato di un disastro senza precedenti che non ha lasciato nulla di intatto e che, anche nel campo della manifestazione artistica, ha segnato un discrimine tra un prima e un dopo. Theodor W. Adorno, tra i primi a coglierne il carattere di rottura, nell'immediato dopoguerra, formula un aforisma lapidario, col tempo divenuto celebre: "scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie". Un enunciato troppo spesso ritenuto dalla vulgata del secolo scorso, e non solo, come una sorta di comandamento e di divieto a scrivere poesie. Tuttavia, proprio e solo coloro i quali, anziché "osservarlo" in quanto tale, si sono adoperati nel contrastarlo, hanno finito con l'accettarne, l'inquietudine che ne sprigionava. Primo fra tutti, Paul Celan, il quale, in quanto poeta che scriveva poesie dopo e su Auschwitz, riteneva di esserne il bersaglio principale. Nondimeno proprio il poeta Celan, nel tentativo di contrastare il filosofo Adorno, finirà per confutare, contraddittoriamente, se stesso e gran parte della sua poesia precedente che ancora risentiva delle influenze di Mallarmé e del paesaggio rilkiano.
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