Manoscritto di un prigioniero

Manoscritto di un prigioniero

Il "Manoscritto di un prigioniero" di Carlo Bini appartiene alla letteratura meno nota della prima metà dell'Ottocento italiano. Eppure esso merita dì essere riproposto all'attenzione del lettore odierno per molti motivi: in primo luogo, per la modernità proteiforme del testo, che si sottrae ad una stretta identificazione di genere, oscillando tra il romanzo, l'autobiografia, il trattato politico, il dialogo drammatico. Come tale è un'opera rivoluzionaria per l'epoca, e lo è anche per i contenuti, giacché sostiene una proposta politica egualitaria, fondata sulla rivendicazione dei diritti dei poveri, proposta che si collocava al di là della posizione non solo dei pensatori retrivi dell'epoca, ma anche degli spiriti aperti, ivi compreso il Mazzini, per l'adesione alla cui setta Bini scontò a Portoferraio il carcere nel quale nacque il Manoscritto stesso. Questo è dunque anche un libro di speranza e di progetto, che, nel clima della Restaurazione, all'opposto della disperazione proveniente a Leopardi dalla staticità della società di Recanati, nasce all'interno della città "libera" e aperta di Livorno.
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