Il Picco di Adamo

Il Picco di Adamo

C'è qualcosa nella narrativa di Comolli che tocca le corde più tese dell'emotività, un'aura queta e inquietante che nasce dalla percezione di un destino già scritto nella storia dei personaggi, quel loro essere fuoriposto con rassegnata sicurezza che li rende creature bizzarre e affascinanti, capaci nello stesso tempo di affrontare avventure esotiche o intraprese fallimentari. Così, Cecilio, protagonista di questo romanzo, stranito perfino nel nome, perdente senza sconfitte, trasognato eroe di un mondo ideale, procede nella vita tra realtà crudeli, con lo stupore dostoevskiano di un capitato nel mondo a testimoniare la possibilità di vie alternative alla violenza o alla competizione aggressiva. La sua è una ricerca al tempo stesso svagata e profonda, che trova alimento in una fede evangelica e in una vocazione artistica, rese ancor più fervide dal confronto col buddhismo e con ideali pacifisti: il che permette a lui di superare indenne ogni smacco, ogni difficoltà, passando dalla Milano dura della contestazione studentesca a Cipro divisa tra comunità turche e greche, allo Sri Lanka afflitto dalla guerriglia. Chi racconta è una perplessa amica della giovinezza, felicemente sposata ma non dimentica di quel primo amore non sbocciato, ancora affascinata dal mistero di quel personaggio, e sempre chiedendosi se dietro i suoi comportamenti divaganti ed eccentrici, dietro quella sua inclinazione artistica mai frustrata nonostante gli insuccessi, non si celasse un messaggio da lei e degli altri non capito.
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