Spartaco. La ribellione degli schiavi

Spartaco. La ribellione degli schiavi

Perché, durante la Resistenza, molti partigiani assunsero "Spartaco" come nome di battaglia, e a Spartaco erano intitolati giornali e pubblicazioni clandestini? Perché l’organizzazione dei comunisti tedeschi guidata da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg (assassinati nel 1919 da ufficiali reazionari) trasse origine, nel 1916, da una serie di "lettere politiche" firmate Spartacus, e si chiamò "movimento spartachista"? Perché, tutti lo sappiamo (anche per merito di un bel film di Stanley Kubrick), Spartaco è un mito. È l’emblema del riscatto dalla schiavitù, della ribellione degli oppressi contro gli oppressori, dei "dannati della terra" (era un gladiatore: un essere umano degradato all’estrema abiezione) che spezzano "le loro metaforiche e non metaforiche catene". I testi (in alcuni casi frammenti o brevi citazioni) di autori classici che qui vengono presentati, servono a spiegare come sia nato questo mito: come la figura e le imprese di Spartaco già dagli antichi (e già dai suoi contemporanei) siano state caricate di significati simbolici così forti che hanno potuto riverberarsi in un altro mito - moderno, tipicamente novecentesco - e nutrirlo. Alla base del mito di Spartaco vi è un innocente ridotto a gladiatore, che fece scoccare la scintilla della rivolta perché ebbe la forza di rifiutare la propria condizione di condannato a una morte insensata; uno schiavo dotato di un tale ascendente da riuscire a organizzare una massa di diseredati in un esercito valoroso e che compì imprese che solo Annibale, prima, aveva realizzato.
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