Una irata sensazione di peggioramento

Una irata sensazione di peggioramento

Milano-Torino, e ritorno: un tratto di autostrada che si snoda tra le risaie, un nastro d'asfalto percorso con angoscia e orrore, altre volte con flebile speranza, dallo scrittore Pietro Mura, alcolista in preda a ricorrenti crisi depressive, intellettuale impaziente, duro con se stesso e con la realtà politico-economica che lo circonda. A un estremo dell'anello la 'capitale immorale' Milano, governata unicamente dall''anima' del commercio e del profitto, oppressa da cieli plumbei e uniformi, stagnante; dall'altro invece Torino, cieli alti e luminosi, ampi viali da cui lo scrittore si attende conforto, in cui trova un nuovo medico e la speranza di una nuova cura, in cui riconosce alla fine anche una possibile storia d'amore. Su questo percorso di andate e ritorni, ossessivamente circolare, si snoda la vicenda esile e intensa di una guarigione forse impossibile, che a volte pare addirittura non necessaria, tanta è invece l'urgenza che il racconto attribuisce alla ricerca delle radici della malattia. "Sono pazzo?" chiede Mura al dottore e alla sua assistente Caterina, innamorata di lui; e in questa domanda c'è il senso più vero di tutti i suoi viaggi: il G.H.B., l'ecstasy liquido che il medico gli prescrive, sembra essere una cura efficace, ma finisce per aggiungere dipendenza a dipendenza; la televisione detta i suoi oppressivi ritmi di vita, l'ansia maniacale prende le forme di un angosciato ma virtuale dongiovannismo; anche Torino, indispensabile rifugio, diventa una sorta di prigione. E su tutto si fa strada in modo impercettibile ma inesorabile la sensazione che la follia e l'ossessione appartengano prima di tutto al mondo e alla cronaca, che ci siano ragioni politiche e sociali più forti ancora di quelle interiori, che violenza e caos siano solo il lascito amaro di un paese illiberale, di logiche di mercato inumane eppure apparentemente da tutti condivise.
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