Incertezza dei bersagli

Incertezza dei bersagli

I lettori che conoscono la musica ispida e dolcissima, selvatica e come trobadorica dei versi in dialetto di Serra di Lerici che Bertolani ha usato per tanti anni, avranno con questo libro, che unisce testi già usciti nel 1976 con una corposa e sorprendente sezione nuova, l'occasione di ripercorrere il suo lavoro in lingua e di apprezzarne le qualità, prima tra tutte la sofferta, vigorosa forza etica. Nelle poesie in lingua di Bertolani si stempera quella sensazione di atemporalità tipica del suo straordinario dialetto; il lettore così potrà cogliere non soltanto temi come il radicamento alla terra, e a un fazzoletto di terra tra colline e onde, la crisi esistenziale tra incertezze e disincanti, la memoria, la quotidianità, l'amicizia, la contemporaneità tra fede politica e resistenza individuale, ma anche le scelte di poetica compiute dall'autore nella sua storia. Bertolani è un ligure anomalo che parte dalla 'linea lombarda' di Sereni e approda a Bertolucci - che con nome e cognome diventa magicamente un verso della bellissima poesia intitolata "Cartolina" - non senza dialogare con SoImi o Fortini, e citare Jack Kerouac e Chet Baker. Lirismo puro, ermetismo, avanguardia gli sono estranei. Predilige una narratività non priva di ironia, moralmente sostenuta, che spesso adotta versi slogati, prosaici, più raramente si serve della perfezione dell'endecasillabo: "La tua infanzia di magro saltasiepi". Ma la realtà elementare delle cose a cui è disperatamente, pervicacemente attaccato si tinge in questo poeta di una luce "... come approntata qui per una / festa in cui potrebbero agire a balzi / e gesti di garza fate e gnomi": una luce "che è uno svenimento", in cui tutto si trasfigura, con effetti che richiamano i grandi liguri del Novecento. Il lettore si misuri con questi versi così autenticamente intrisi di esistenza, di cose, di verità. E segua il poeta nei suoi testi più recenti in cui affiora una drammatica visionarietà, quando allunga il passo e si porta, come spinto verso un esilio e una metamorfosi impossibile, in un Egitto-necropoli ("Oh Egitto bello e atroce / di morte che costante mi cova") a scoprire lontano da casa la "feroce / cipria del deserto". (Giuseppe Conte). Postfazione a "Dall'Egitto" di Francesco Bruno.
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