Morte al filatoio

Morte al filatoio

Bologna, 9 novembre 1592: don Tomasso, che dirige l'ospizio di San Biagio, viene coinvolto mentre è al Tribunale del Torrone in una denuncia per diffamazione voluta da Violante, una donna che un libello anonimo accusa di aver avvelenato il marito. Il notaio Martini, inquirente amico del prete, gli chiede in via non ufficiale di prendere informazioni da don Lucio, il sacerdote che ha proceduto al funerale e che forse è stato anche l'amante della donna. Nel frattempo, don Tomasso apprende da due ragazzini rifugiatisi all'ospizio, Ettore e Gian Andrea, che il primo ha appena visto il cadavere di una giovane donna nei sotterranei del filatoio di tal Righi. Il corpo, gettato nel canale, verrà infatti ritrovato di lì a poco. La morta risulta essere una lavorante del Righi, Caterina Pancaldi, e l'esame autoptico dichiara che ha perso da poco la verginità. Don Tomasso è certo della veridicità di Ettore, poiché nei sotterranei del filatoio ha trovato un orecchino d'oro identico a quello rimasto al lobo della giovane morta: evidentemente, un pegno per lo stupro. Partono quindi tre processi: quello per il libello famoso contro lo studente Morelli (si chiude ben presto per "rinuncia"); quello per avvelenamento del marito di Violante (autopsia; interrogatori di Violante, Morelli e del cognato Bernardo, considerati i maggiori indiziati; infine, individuazione della vera colpevole nell'amante del morto); quello per "la putta" trovata nel canale. Qui il processo inizia ma si ferma perché l'attenzione del tribunale è indirizzata a quello per veleno. Mentre si svolgono gli interrogatori, don Tomasso aiutato da Gian Andrea prosegue nella ricerca dello stupratore omicida e nel ritrovamento di ipotesi e indizi.
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