Food connection. Enogastronomia cinematografica

Food connection. Enogastronomia cinematografica

Il cinema è immaginazione. Compito dell'immaginazione è quello di farci sognare come dormienti ad occhi aperti, come sognatori cadiamo nel letargo della sala cinematografica per abbandonarci ad una finzione. Eppure sentiamo spesso che questa 'finzione' ha molto in comune con la realtà della nostra persona, avvertiamo che l'irrealtà delle immagini coinvolge tanto i nostri cuori quanto i nostri corpi: stimolandoli, vivificandoli, alterandoli. Il cinema è allora una provocazione che sfida la nostra sensibilità, è un'occasione per celebrare un significato della vita. Ma nel linguaggio degli uomini i significati hanno spesso il valore dei bisogni, ecco perché diciamo che il cinema è anche, e soprattutto, la rappresentazione di una serie di bisogni. E quale bisogno più elementare di quello di nutrirsi, di alimentarsi o di abbeverarsi? II cibo è per noi un bisogno fondamentale, imprescindibile, essenziale. Di una simile basilarità non poteva non tenerne conto l'occhio del cinema, perché il cibo, come il dormire o l'amare, rappresenta quella quotidianità che è l'oggetto di interesse preferenziale dell'arte. Ogni giorno abbiamo fame e ogni giorno mangiamo, è una cosa naturale, un gesto rituale, necessario. Così è per il cinema: il cinema filma la fame perché l'uomo è affamato, il cinema filma la sete perché l'uomo è assetato. Del resto, quante volte tavole imbandite o fastosi banchetti hanno segnato i momenti più vitali della storia dell'arte, e in quante altre il cibo è comparso nell'immaginario cinematografico veicolando momenti di felicità e spensieratezza, così come, sotto il segno di un'assenza o di un eccesso, quelli più cupi e più miseri?Dunque il cibo è nel cinema perché rappresenta per l'uomo un centro di interesse da cui la sua attenzione non può né sa distogliersi. Sbaglieremmo però se pensassimo che nel cinema il cibo occupa unicamente il ruolo di un oggetto di bisogno, esso è infatti anche un prezioso indicatore simbolico: il cibo come espressione della nostra personalità, come cartina tornasole delle nostre idee, delle nostre convinzioni, come termometro dei nostri stati di salute, dei nostri umori o delle nostre passioni, il cibo come arte, arte culinaria appunto, come arma di seduzione, come occasione di convivio; il cibo, infine, come anello di congiunzione al sacro e al suo contraltare, il peccato e la caduta, la perdizione e il vizio. Sono tutti elementi che partecipano alla storia del cibo nel cinema. Questo libro, che a questi valori è consacrato, si propone dunque di studiare l'argomento sotto diverse angolature, seguendo un'immaginaria storia del "cinema da mangiare". Storia che se percorsa vuol essere anche un invito a passare dalla poltrona, in cui l'industria cinematografica ci ha tenuti rilegati, alla cucina e ai piaceri della tavola. Perché costruire un film, come Bruno Barreto ci ha insegnato col suo bellissimo "Donna Flor e i suoi due mariti", è un po' come eseguire una ricetta: occorre conoscere una grammatica e distanziarsene, combinando gli ingredienti con la sapienza di un artigiano e l'immaginazione di un poeta. (Dall'Introduzione)
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