Spazi fuori dal Comune. Rigenerare, includere, innovare

Spazi fuori dal Comune. Rigenerare, includere, innovare

Case di Quartiere a Torino e il Patrimonio Cittadino di Uso e Gestione Comunitaria a Barcellona. I Laboratori di Quartiere a Bologna e Mercato Lorenteggio a Milano. Asilo Filangieri a Napoli, Via Baltea 3 a Torino e Piazza Gasparotto a Padova. Sono tutti Spazi fuori dal Comune in cui forme di autorganizzazione, istituzioni intelligenti, imprese sociali, terzo settore, singole professionalità non ancora "codificate" si mettono in gioco attivando spazi di opportunità in quartieri in stato di bisogno. Spazi fortemente autoimprenditivi che cercano un giusto rapporto tra autonomia economica e sostegno pubblico, luoghi che tessono legami con il quartiere dove esistono, contenitori di progettualità, servizi, competenze. Spazi che si inseriscono, facilitano e resistono a complessi processi di politiche. Parliamo di rigenerazione urbana e innovazione sociale: due termini fino a qualche tempo fa in antitesi, indicano oggi quel proliferare di iniziative dal basso capaci di produrre importanti impatti urbani. Questo libro, attraverso una ricostruzione teorica e l'analisi di diversi casi studio, arriva a sostenere che la rigenerazione urbana è un complesso processo sociale e di policy che deve essere capace di produrre effetti contestuali e duraturi nel tempo su spazio e società: viene prodotta rigenerazione urbana dove sono moltiplicati i diritti di uso di uno spazio per pubblici differenti e se lo spazio (pubblico e non) diventa risorsa disponibile, capace di ancorare processi di empowerment e attivazione politica. Perché si possa parlare di rigenerazione urbana è necessario che si produca apprendimento sia nelle istituzioni sia nei diversi attori sociali che vi hanno preso parte. E al centro la relazione tra innovazione e inclusione sociale: in particolare in quartieri ad alto tasso di differenziazione sociale è necessario inserire una prospettiva di giustizia per generare e distribuire le esternalità positive alle popolazioni più vulnerabili e allo stesso tempo controllarne i possibili meccanismi di esclusione. Perché l'innovazione sociale non è una bacchetta magica, ma uno strumento di lavoro contestuale che può essere usato per rigenerare territori in un'ottica inclusiva.
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