Un altro che ti scrive

Un altro che ti scrive

Nel suo nuovo libro, con versi di commossa limpidezza, Cristiano Poletti contempla l’origine, il legame con il padre in un senso molto largo, anche linguistico. Con maestria scarta a tratti nell’espressione dialettale, senza strappi, quando è l’unica possibile nel contatto più intimo con la realtà. Interpella i maestri, siede alla locanda dei balenieri e con Samuele passa “portando il peso di una voce, / amando moltitudini sapendo / che quella voce non è mia”. La tensione emerge così sempre più nello sguardo, aperta al colore, alla luce, alla “cassa di risonanza di un viale” a immagini nitide dove affrancarsi dal “sonno delle parole”. “C’è uno spazio tra parola e falsità”; un “miracolo di fiore e aria” dove la poesia di Poletti si slancia, in cerca d’altro. Allora diventa “puro sguardo amoroso che percepisce la bellezza e pura bellezza lieta di essere percepita”, come ebbe già a dire Milo De Angelis a proposito della raccolta precedente, Temporali. L’emblematica sezione “America”, che chiude il libro, esce in un campo aperto, luminoso, lasciandosi alle spalle la verticale di scale, “il lavoro di capire perché / avere male”. E nell’odore di cascata del New Jersey segue il lavorìo dell’acqua; il fiume riporta in vita i fratelli perduti di Elmira, rimossi dalla Storia, che parlano di noi.
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