L'udito cronico

L'udito cronico

Questa agile ma sorprendente raccolta di Cristina Annino comparve nella collettanea Nuovi poeti italiani 3 a cura di Walter Siti nel 1984. Mai apparsa di seguito in un volume a sé stante, viene qui riproposta nella sua versione originale. Anche in quest’opera, intitolata L’udito cronico, il canto della compianta autrice toscana si contraddistingue per la sua forza impersonale, eversiva, tinta di un sarcasmo pungente, mai banale. Nella lunga e originale traiettoria compiuta, Annino è difatti sempre rimasta fedele al proprio “fare poesia”, in senso per davvero materico, e in questa silloge ancora una volta la sua scrittura si fonda su una commistione di interessi sia visivi (fu anche originale pittrice) che lirico-musicali, divenendo così un preciso cesello meta-realistico, un patchwork del linguaggio in continua tensione. Si può dunque parlare di poesia pseudo-dadaista, come anche di poesia civile, di un civile però votato al suono, dove il tono affabulatorio e la messa in scena di un irriverente teatrino ritmico-verbale danno vita a una poesia di elementi che giocano in maniera quasi distopica sul tavolo dell’esistenza, in cui l’io (spesso declinato provocatoriamente al maschile) è un automa perennemente in bilico tra evoluzione e disfacimento. Un canto elettrico che sorprende per la sua luminosità prosodica coinvolgendo direttamente il lettore nell’attenzione del mondo tramite l’enunciazione dell’avvenimento, che non è mai qui mera meta-cronaca, bensì concatenazione di possibili realtà, configurazione astrale e terrestre di significato e mistero. «Non posso nascondere la mia simpatia per i testi della Annino, per quel suo “io” maschile molto al di là delle zone banali della nevrosi, segnato da una disarticolazione “estatica” che in un lampo ci mostra gli spazi e i rapporti svincolati dai pregiudizi della percezione e della personalità. Mi sembra che nei suoi testi si trovi quella cosa difficile che è la poesia: il regalo di abitare il presente con la nudità ma anche con la leggerezza di chi si è appena tolto una corazza; la possibilità di fissare per qualche istante, prima di chiudersi in stile e maniera, ciò che è senza aggettivi e senza distinzioni, ciò che fissato a lungo pietrifica. (Il che non significa essere senza modelli: la sua scissione paranoica, presenza dell'Altro su un'esistenza scorticata, pare un'eco stravolta del Dio di Luzi)». (Walter Siti)
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