Maledizione di Mezzapica (La)

Maledizione di Mezzapica (La)

L'incantamento delle isole Eolie fra passioni, perdite e naufragi Isole di miti, ma soprattutto isole di approdi, ma anche di derive, le Eolie, da sempre presenti nell'immaginario letterario. E Paolo Chicco avvocato penalista torinese vi è approdato, fisicamente da quando aveva sedici anni, emotivamente ora che ha scritto la opera prima,”La maledizione di Mezzapica” (Fausto Lupetti editore, pagg. 140 euro 12), ambientata a Filicudi. E' un'Odissea moderna con il tema del viaggio, e con tempeste e naufragi, inganni e tradimenti, perdite e mancanze, questo romanzo in forma di racconti che procede in un climax narrativo sempre più sicuro nel passaggio da una stazione all'altra delle storie. Lacerti di vita isolana, di passioni, di perdite e tradimenti, ma anche di legami con un mondo ancestrale dove fa la sua incursione l'aspetto magico e misterioso della vita, rappresentato da Chicco (il quale mostra di aver ben studiato, lui sabaudo, da siciliano) non certo con distacco da studioso di folklore, bensì con la partecipazione sentita ad una realtà complessa nella quale il senso del destino, l'invidia degli dei e l'incantamento magico servono a spiegare situazioni ed eventi che sfuggirebbero altrimenti ad una spiegazione razionale. E' l'anima greca che riappare dalle viscere di quelle terre vulcaniche affiorate nella notte dei tempi, grumi di terra insieme benedetta e maledetta, dove un pugno di uomini lì gettati dal caso o dal destino affrontano il dramma della vita. Aleggia, infatti, su tutto il racconto una certa atmosfera da tragedia, nonostante il tono volutamente leggero e ironico dell'autore. La tragedia dell'emigrazione, ad esempio, perché le storie si dipanano lungo la prima metà del secolo scorso, quando l'isola da fiorente divenne sempre più desolata, con un numero sempre maggiore di gente che vedeva la sua terra allontanarsi, mentre andava via con la nave, con la certezza che non l'avrebbe più rivista per molto tempo o forse per sempre. E ancora, incombe il senso del destino sui personaggi, molti dei quali sembrano essere schiacciati dal peso di una maledizione, prima fra tutte quella di doversi affidare al mare, nella vita e nella morte. Terra di emigrazione, coste dalle quali ci si imbarca per non tornare, o al contrario si approda in un confino forzato, con identità nascoste, come quelle dei mafiosi, o con la veste frivola di turisti indifferenti, pronti a scappare dopo la recita della stagione estiva, case abbandonate un tempo vitali, e la perenne vicenda del ruolo di femmina e di maschio da recitare, sottomettersi o agire d'astuzia, da “fimmina” appunto, nel primo caso, e del dover prevaricare o fare il proprio dovere di “masculo” nel secondo. E su tutto e oltre tutto, quel mare calmo o furioso, acque misteriose davanti alle quali avvolgersi in un amplesso amoroso o gorghi minacciosi che allontanano persino l'unica certezza di un'isola, l'approdo della nave-speranza-disperazione, la nave che tutto conduce e tutto porta via. Patrizia Danzè
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