Anja, la segretaria di Dostoevskij

Anja, la segretaria di Dostoevskij

Proposto al Premio Strega 2020 da Claudio Strinati. Vera Macchina del Tempo, questo romanzo sonda il mistero del legame profondo che si stabiliì tra Dostoevskij e Anja nel breve tempo della stesura del Giocatore, restituendoci, con una scrittura straordinariamente evocativa, atmosfere, clima, e persino odori e rumori della Pietroburgo del XIX secolo. Pietroburgo 1866. Lo scrittore, quasi cinquantenne, Fedor Michajlovich Dostoevskij è afflitto dall'epilessia e reduce dall'aver firmato un contratto capestro col suo mefistofelico editore: si è impegnato a consegnare un nuovo romanzo nell'arco di un mese. In caso contrario perderà i diritti su tutte le sue opere passate e future. Consigliato dagli amici, si rivolge a una scuola di stenografia che gli mette a disposizione la migliore delle sue allieve: Anja Grigor'evna, una graziosa adolescente curiosa del mondo, che ha ereditato dal padre la passione per la letteratura. Fra i due, in ventisei giorni, nascerà un amore estremo a dispetto dello scandaloso divario di età. Anja rimarrà la fedele custode dell'opera di Dostoevskij fino alla propria morte, avvenuta trentasette anni dopo quella del marito. Proposto al Premio Strega 2020 da Claudio Strinati: «Manfridi, con questo lavoro, tocca a parer mio un apice della sua parabola di autore teatrale, sceneggiatore cinematografico, poeta e narratore. E' il motivo per il quale ho ritenuto di avanzare la sua candidatura e ne illustro in poche parole le ragioni. Si può dire che in questo lavoro Manfridi abbia profuso sia tutto il suo invero vastissimo sapere sia la sua vieppiù sorprendente capacità di scrittura visionaria, multiforme, monumentale, in qualche modo costantemente "sopra le righe". Una capacità che lo ha già reso, e da tempo, un autore teatrale tra i più rimarchevoli, forse, del nostro Paese. Questo romanzo, in realtà, è leggibile anche come una sorta di opera para-teatrale dove il gigantismo della scrittura e l'intimismo della narrazione convergono in una sorta di paradossale cortocircuito espressivo che sembra raccogliere in maniera alquanto spiazzante e tutt'altro che pretestuosa il retaggio delle grandi avanguardie storiche italiane, dal Gruppo ‘63 al teatro di Carmelo Bene, fino alle lucide e stratosferiche geometrie di un Manganelli o un Arbasino. Manfridi, però, ha un suo stile a mio giudizio incomparabile con chiunque l'abbia preceduto su questa strada invero un po' rischiosa. Già il genere in cui Anja sembra andare a collocarsi appare anomalo e stralunato. Alla prima sembra trattarsi di un romanzo storico che racconta in modo filologicamente ineccepibile e con intensa partecipazione emotiva, la vicenda reale e ben documentata della creazione del romanzo Il Giocatore da parte di Dostoevskij. Oppresso dai debiti, da un contratto capestro con il suo editore, in preda a tremende turbe psichiche, Dostoevskij deve scrivere in meno di un mese un nuovo romanzo, altrimenti si vedrà togliere i diritti dei lavori precedenti e in corso, sprofondando nel disastro economico e morale. Assume allora una giovanissima e bravissima stenografa che lo aiuterà scrivere il libro entro la perentoria scadenza prevista. Da questo incontro nascerà un profondo amore tra il maturo scrittore e la ragazza che si rivela personalità formidabile e decisiva. Anja sarà ben altro che una segretaria ma diverrà la compagna, moglie e depositaria delle memorie dello scrittore. Memorie che consegnerà poi ella stessa a interessantissimi testi pubblicati molto tempo dopo la morte dello scrittore. Nella scrittura di Manfridi il lento e inesorabile processo di reciproca comprensione tra il sommo scrittore russo e la colta e sensibilissima ragazza, è disseminato da ogni sorta di pietre di intralcio letterarie in cui il lettore inciampa continuamente andando a sbattere contro impulsi, sollecitazioni, errori, correzioni, illuminazioni che a mano a mano lo travolgono costringendolo a immergersi in un magma espressivo da cui trapelano continuamente scintille di intelligenza fervida, di espressione acuta, di sollecitazioni inaspettate a vedere oltre le consuete apparenze. Così l'afflato poetico che in Manfridi è molto forte si scioglie in una prosa densa e articolata in cui ogni frase, ogni aggettivo, ogni connessione risulta insieme indispensabile e deviante. Un romanzo che onora come meglio non si potrebbe l'ansia divorante di sapere e di comprendere che sola giustifica la creazione di un testo tale da porsi poi di fronte al suo lettore come un'ardua difficoltà da affrontare, perché difficile e sovente aspro ma proprio per questo profondamente remunerativo per chi è convinto della forza più che mai necessaria della narrazione in sé. Mai banale, mai retorico, mai ostentato ma profondamente serio e convincente, un inno alla letteratura e all'amore, all'intelligenza e alla volontà.»
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