Il privilegio del disastro
C’è un narratore inesperto, schiacciato da un inspiegabile senso del dovere: deve raccontare una storia non sua, una storia che, chissà come, gli è stata consegnata. E siccome è inesperto, cerca un lettore, o forse solo qualcuno a cui consegnare questa storia perché la passi a un altro e così via… La storia in questione è una storia d’amore come tante, ma i protagonisti si credono eccezionali e così vengono puniti per la loro hybris (o forse è solo la vita che distribuisce felicità e dolori). E il narratore, un po’ prigioniero un po’ demiurgo, conduce per mano il lettore, aggiungendo storie su storie, andando avanti e indietro sulla linea del tempo, nel tentativo di allontanare quel momento e di scongiurare il disastro. Come si sopravvive al dolore, anzi al disastro, alla malattia, al lutto? Si sopravvive riavvolgendo il filo e sdipanandolo ancora, facendone la tela ben tessuta che l’arte – il miscuglio tra verità e finzione – ci consente. E così il dolore scompare e il disastro diventa, finalmente, privilegio.
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