Canto la rabbia che mi fa. Storie di umanità e sovversione
Come si diventa sovversivi in una società come quella italiana di inizio Novecento? Perché l’anarchico Luigi, fabbro ferraio, poi facchino e pescivendolo nullatenente, nella Toscana costiera, viene schedato? E com’è che l’anarchico Biagio, nato a Marsiglia da emigrati italiani, anche lui toscano di costa, incrocia la storia di Mussolini? Il vocabolario definisce sovversivo ciò che mira al rovesciamento dell’ordine costituito. Viene usato anche come sostantivo maschile: “un pericoloso sovversivo”. Il sovversivo è pericoloso perché imprevedibile, fuori dagli schemi costituiti, impulsivo, violento nelle parole e talvolta pronto allo scontro fisico. Ma soprattutto è pronto a sacrificare la propria persona, a condizionare la propria vita per una causa. Spesso è un illuso e va incontro alla sconfitta. Attraverso documenti di archivio si ricostruisce la storia di due “anonimi” sovversivi nell’Italia dei primi trent’anni del Novecento.
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