Saggi ed epigrammi

Saggi ed epigrammi

Un bel volto caparbio, occhi chiari e indagatori, sobrie le movenze, cappotto blu e taccuino di appunti sotto mano - questa è l'immagine di Franco Fortini che resta nella mente. Siamo prima di tutto il nostro corpo, ed egli si teneva riservato, in guardia, nella sua bella persona, senza concedersi alcuna eccentricità. Non si finse metalmeccanico nei cortei operai né ragazzino fra gli studenti in corsa né un quidam de populo se lo fermava la polizia. Mai si lasciò catturare da un'establishment e mai si travestì da emarginato. Era stato povero, aveva tirato la vita e accumulato saperi con tenacia e diletto, sapeva di essere quel che era. Non si lasciava andare, le sue famose collere erano meditate, gli interventi brevi e mirati; non espose mai tormenti che non fossero della ragione. Salvo forse la pena dell'invecchiare: "dimmi, tu conoscevi, è vero, quanto sia indegna / questa vergogna di vecchiezza?". Ma si stenta a credere che il male che lo afferrò nel 1993 ne abbia incrinato la disciplina. Aveva già letto per sé l'epigrafe sulla tomba di Francis Bacon al Trinity College, e titolato con il verso che la chiude l'ultima raccolta di poesie - "Composita solvantur" - si scomponga tutto ciò che è composto. Aveva preso la parola sempre, per sé e per gli altri, ma si appartò per morire, evento da affrontare in solitudine - "transi hospes", "nunc dimittis" - spegnendosi sotto lo sguardo amoroso di Ruth Leiser, che per tanti anni s'era chinato accanto al suo sulla lirica tedesca. Con un saggio introduttivo di Luca Lenzini e uno scritto di Rossana Rossanda.
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