Il ventre di Napoli
«Bisogna sventrare Napoli!» Così Agostino Depretis, presidente del Consiglio, reagì alla vista dei quartieri fatiscenti della città, malsani, sovraffollati e decimati dal colera quando nel settembre 1884 vi si recò insieme al re Umberto. L'espressione, con la sua immagine di cruda macelleria, suggerì alla ventottenne Matilde Serao una serie di articoli usciti sul giornale romano «Capitan Fracassa» e immediatamente raccolti in volume col titolo Il ventre di Napoli. Un libro che Giuseppe Montesano ha definito «"politico" fino all'osso, come una sommossa o un proclama». In queste pagine infatti la celebre giornalista esce dagli stereotipi del pittoresco e da modi linguistici abusati per trattare - con un vigore e una prospettiva di impegno civile che va ben oltre l'orizzonte locale - l'orrore che era sotto gli occhi di tutti ma che nessuno affrontava davvero: la miseria del popolo dei quartieri bassi, i bambini soli o abbandonati, la lotta delle donne per l'esistenza, la serpeggiante deprivazione morale, le angustie della piccola borghesia, l'arrivismo dell'élite cittadina, l'ambiguo mito della modernità che spiana la strada a un affarismo feroce e alla speculazione più avida.
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