Breve storia del mio silenzio

Breve storia del mio silenzio

L’infanzia, più che un tempo, è uno spazio. E infatti dall’infanzia si esce e, quando si è fortunati, ci si torna. Così avviene al protagonista di questo libro. «“Ma il bimbo non parla?” chiedeva ogni tanto qualcuno girandosi verso di me. Non era il male del silenzio a impedirmi di parlare, ma la paura di aprire bocca di fronte a loro. Preferivo ascoltare e vedere il posacenere riempirsi di cicche. Credo sia cominciato allora il tempo in cui le idee avevano la consistenza della cenere, proprio come le poesie sapevano di liquirizia. Sigarette e occhiali. Una montatura tonda indicava una persona accomodante. Una quadrata e scura dava precisione allo sguardo. Io avrei scelto quest’ultima» Un bimbo che a quattro anni perde l’uso del linguaggio, da un giorno all’altro, alla nascita della sorella. Da quel momento il suo destino cambia, le parole si fanno nemiche, anche se poi, con il passare degli anni, diventeranno i mattoni con cui costruirà la propria identità. Breve storia del mio silenzio è il romanzo di un’infanzia vissuta tra giocattoli e macchine da scrivere, di una giovinezza scandita da fughe e ritorni nel luogo dove si è nati, sempre all’insegna di quel controverso rapporto tra rifiuto e desiderio di dire che accompagna la vita del protagonista. Natalia Ginzburg confessava di essersi spesso riproposta di scrivere un libro che racchiudesse il suo passato, e di Lessico famigliare diceva: «Questo è, in parte, quel libro: ma solo in parte, perché la memoria è labile, e perché i libri tratti dalla realtà non sono spesso che esili barlumi di quanto abbiamo visto e udito.» Così Giuseppe Lupo – proseguendo, dopo Gli anni del nostro incanto, nell’“invenzione del vero” della propria storia intrecciata a quella del boom economico e culturale italiano – racconta, sempre ironico e sempre affettuoso, dei genitori maestri elementari e di un paese aperto a poeti e artisti, di una Basilicata che da rurale si trasforma in borghese, di una Milano fatta di luci e di libri, di un’Italia che si allontana dagli anni Sessanta e si avvia verso l’epilogo di un Novecento dominato dalla confusione mediatica. E soprattutto racconta, con amore ed esattezza, come un trauma infantile possa trasformarsi in vocazione e quanto le parole siano state la sua casa, anche quando non c’erano.
Prodotto fuori catalogo

Recensione del libro fornita da lottavo.it

Di Geraldine Meyer

Memoria e oblio sono due funzioni di una stessa cosa: il rapporto con il tempo. Ma sono due facce della stessa medaglia o, meglio, uno la riscrittura dell’altro. Nel momento stesso in cui affidiamo a una carta una storia fatta di parola, siamo consapevoli che quella storia possiamo dimenticarla tanto è affidata alla carta. Leggere i libri degli altri significa venire a contatto con l’oblio ...

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