La barca d'oro
Di tanto in tanto Rabindranath Tagore amava salire sul suo battello Padma e vagabondare lungo l'ampio delta del Gange. Cercava forse quei personaggi, quei paesaggi che avrebbero animato la sua ispirazione; o forse, semplicemente, cercava solitudine e meditazione insieme alla quiete e a un momentaneo distacco. Il quieto corso del grande fiume sacro gli era dunque assai familiare. Come familiari gli erano certo i variopinti scenari che sulle rive si succedevano ininterrotti eppure sempre diversi. Ed è da quest'esperienza, da questo contatto profondo e semplice allo stesso tempo con l'essenza più intima dell'India, che nascono le poesie di La barca d'oro. La raccolta fu pubblicata per la prima volta a Calcutta nel 1894 (Tangore aveva allora trentatré anni) e costituisce, insieme agli altri componimenti di quel periodo, la prima fondamentale svolta nella produzione del grande premio Nobel indiano, quella che porterà a Ghitangioli e al Giardiniere. La qualità della poesia di Tagore, d'altronde, è nella Barca d'oro già tutta presente. In una ricca serie di metafore, la natura, le acque, la vita delle rive del Gange diventano rappresentazioni della vita umana e dei suoi moti interiori. A sua volta la barca diviene un simbolo dell'esistenza ('Correre su questo / uragano di vita / come una piccola barca / a piene vele'). Ma essa è anche - come nel componimento che dà il titolo alla raccolta - un battello che si allontana verso l'ignoto, verso una terra ancora e sempre indefinita portando con sé il raccolto e ogni altra ricchezza, ma lasciando a terra, in completo abbandono, l'uomo. Poesia di meditazione e di riflessione, dunque, che sa sempre, tuttavia, trasformarsi in canto. Canto di natura, canto di Dio, canto d'umanità, canti che si fondono una volta di più in un lievissimo tessuto poetico.
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