La lattuga di Boston. Diario di un attimo

Aldo Buzzi fa parte della ristretta cerchia di "scrittori amici" e i suoi libri si leggono svelti anche se poi vengono spesso consultati e se ne riparla. Buzzi è come un gheppio, un falco pellegrino che va e guarda per noi le cose e il suono delle parole, le conta e le ascolta da curioso e da goloso così come detta il condimento dell'insalata per una lattuga "girata" a Boston con gocce d'acqua e olio di Provenza. Il suo humour è supernord, accennato e trattenuto, quasi severo, e drastici sono i suoi giudizi su arte e letteratura, su posti, cose, condimenti. Ma l'immediata negazione istintiva e onesta sembra sempre nascondere un "però se vuoi ne parliamo", apertura che filtra in tutti i suoi scritti attraverso un forte senso dell'amicizia e dell'amore per le persone che fanno e che parlano. Leggere i suoi libri aiuta a viaggiare e molto spesso offre la piacevole sensazione di aver trovato uno scrittore che, guarda, la pensa come noi. A volte diventa un burbero fustigatore di immaginette retoriche (New York che nominata una seconda volta diventa la Grande Mela, il dollaro che diventa il biglietto verde, l'oro il metallo giallo, il pallone la sfera di cuoio) ai cui autori commina l'ergastolo senza alcuna riduzione di pena. Più spesso rimane attento agli scambi umani con tenera curiosità: "Caro Ignazio, io sto bene e così spero di te" - "Sembra la cartolina di un cane" - "E' vero, in certi casi uomini e cani scrivono le stesse cose"... e la Lina... "La Lina... il Verduzzo da imbottigliare... gli ossibuchi... forse, chissà, chissà, c'è di buono anche nel non leggere".'La lattuga di Boston' inizia in Valtellina, decolla in Brianza a Bosisio Parini, vola nel mondo e si conclude a Prato con un quadro preciso e insieme romantico della città agli inizi del '900, dove i problemi di una famiglia borghese si incrociano con quelli della fabbrica, della povertà da una parte e della cultura più che del benessere dall'altra.